Come scelgo il mio outfit

L’abito fa il monaco: una certezza, ma soprattutto uscire di casa e piacermi è il mio mantra.

Mi devo sentire a mio proprio agio, voglio sentirmi bello e sapere che gli altri mi osservano; per me è un motivo di orgoglio personale e ci gongolo.

Io mi piaccio e tu?

Adoro quando qualcuno mi fa i complimenti per una borsa, accessorio, gioiello o semplicemente perché pensa che io sia elegante. Mi colpisce però che quando indosso un abito (nero, blu o grigio) me lo dicano sempre: chissà perché si associa l’eleganza alla formalità. Mi verrebbe da dire “Ei tesoro ma io sono sempre elegante” :-).

A caval donato non si guarda in bocca però.

Dunque di solito io lo decido la sera, poco prima di addormentarmi (è un bel pensiero con cui cullarsi no?) conosco gli impegni del giorno successivo, in quale ambiente mi troverò, le persone che incontrerò, se devo camminare molto oppure no eccetera. Questa io la definisco la “cartografia sociale del giorno successivo” Lo faccio definendo prima il tono e lo stile, successivamente vi associo i colori, e poi i pezzi fino a comporre un unico insieme. L’unica cosa che scelgo al mattino è la fragranza, ne posseggo circa 140, e dato che il profumo lo indosso in base a come mi sento preferisco tenerla per ultima.

Se devo incontrare persone per la prima volta vesto molto classico che per me non è giacca e cravatta (quest’ultima ormai la utilizzo in contesti estremamente formali) ma pantalone blu o nero e relativa camicia dello stesso colore o al massimo bianca. Le persone si fanno un’idea di noi nei primi cinque massimo dieci secondi è dunque fondamentale non apparire sopra le righe. Colori troppo accesi sono un pugno in un occhio, così come scarpe appariscenti od accessori stravaganti. La scorsa settimana ad esempio sono stato a pranzo nell’unico ristorante giapponese stellato che abbiamo in Italia (Iyo Experience che vi consiglio caldamente), ebbene trattandosi di un’occasione semi formale mi sono abbigliato con pantalone e camicia nera, cardigan di lana dello stesso colore, scarpe Shanghai bordeaux e pouch nero LV.

Intendiamoci, ho avuto anche io le mie pessime cadute di stile: a casa di mamma e papà ho delle bretelle di Moschino, per cui spesi anche un occhio della testa con i segnali stradali, capite? Una specie di corso da scuola guida che regge i calzoni…. uribile! Ecco, credo di averle indossate una volta sotto un abito grigio scuro e poi riposte nel cassetto.

A voi le bretelle 😂

Una volta invece in pieno delirio da shopping acquistai una giacca pied poule bianca e rosa. Fortunatamente ogni giorno mi specchio mentre penso: “Sei proprio un gran figo!” e poi esco di casa. Ecco, quella mattina in cui la provai tornai in camera, la tolsi e non la usai mai più. Sembravo un gelataio anni ’60 ma non della serie “The marvelous Mrs Maisel”, l’avete mai vista? Non perdetevela, se amate la moda i suoi outfit sono da URLO!

Ed eccomi qui a dirvi che tutta questa è bellezza, ma sapete perchè? Sarebbe troppo facile associarla alla moda, agli outfit ed all’eleganza. No, secondo me è bellezza perché uscire di casa e sentirci belli ci cambia la giornata, ci fa sentire migliori ed inattaccabili. Dobbiamo piacere a noi stessi prima di tutto, essere in equilibrio.

Outfit da shopping sfrenato

Provate domattina a vestirvi, truccarvi o indossare il vostro profumo preferito, poi mettetevi in piedi di fronte allo specchio e ditevi: “Sono proprio una gran bonazza, oppure sono veramente figo!”, anche se lo pensate solo per il 20% vi farà stare meglio, fidatevi.

Ascoltami 🙂

Perché non so scrivere ma adoro scrivervi.

Vi ricordate quando la maestra delle elementari ci dava come compito a casa i pensierini da scrivere? Io molto bene: panico totale.

Passavo ore a scervellarmi per trovare qualcosa da scrivere; passavo poi a pietire l’aiuto di mamma, che invariabilmente peggiorava la situazione strappando la pagina poiché la grafia non era ordinata o perché avevo fatto le orecchie all’angolo del foglio.

Pensierini per la testa.

Un vero incubo.

Poi vennero i temi alle medie. Lì me la cavavo un po’ meglio perché ci facevano dividere il foglio a metà per poter scrivere le correzioni a lato, quindi con poco sforzo arrivavo a riempire sei o sette pagine. Anche al liceo andava abbastanza bene dal momento che sceglievo quasi sempre il tema di letteratura, così dovevo semplicemente riscrivere quello che avevo studiato. Non ho mai amato i temi di attualità, avevo opinioni su quasi tutto ma le parole non uscivano dalla penna. Ricordo che una volta, per sfidare me stesso, provai anche a scrivere un libro: non avevo un’idea di base, non mi ero preparato uno schema da cui partire, ma con una certa spavalderia decisi di ambientare la storia in un tribunale marino durante il processo agli esseri umani per aver inquinato il mare; insomma alla tenera età di 14 anni ero una “Greta de’ noj artri” ante litteram, ma mi arenai dopo le prime pagine.

Considerando inoltre che dalla seconda alla quinta liceo ho avuto un’insegnante di lettere veramente capra, le cui occupazioni principali erano nell’ordine: coprire con un foulard (tra l’altro nemmeno di Hermès) inequivocabili segni sul collo, sventolare il suo presunto anello nobiliare (anche se a me quel Migliavacca mi sapeva più di altro che non di nobiltà), e per ultimo commentare Dante leggendo in modo becero le note a fondo pagina; vi potrete quindi spiegare facilmente perché il componimento letterario non fosse proprio il mio forte e fossi a dire poco incerto delle mie capacità di scriba.

Poi nulla, il buio più assoluto. Ho sempre pensato di non avere la capacità di scrivere un testo, nemmeno un pensierino; finché, qualche anno fa, iniziai a stendere delle email professionali e mi resi conto che non solo sapevo mettere in fila le parole ma riuscivo anche a trasmettere delle emozioni. Non per questo posso dire di aver mai avuto il fuoco sacro dello scrittore.

E poi c’era una frase che mi girava sempre in testa: “Bisogna smettere di scrivere ed iniziare a leggere”; la ritengo una grande regola tutt’ora, solo che per “colpa” di Davide ho aperto questo blog quasi per scherzo e poi ci ho preso gusto.

Da quando ho iniziato circa un mese fa, la cosa che mi ha più colpito è stato l’apprezzamento per il mio stile: “fresco, diretto, chiaro, divertente, concreto, ottimista, felice”, questi sono gli aggettivi che molti lettori hanno utilizzato per definirlo!

Ora, io non so se il mio stile potrà continuare a piacere, non so quanti lo apprezzeranno e quanti mi seguiranno, so solo che potermi raccontare, sapere che riesco a condividere le mie esperienze e magari a illuminare i miei amici, o anche solo accendere un sorriso sulle labbra di qualcuno dei miei followers, rende bellissime le emozioni che provo.

Ascoltami 🙂

Grazie.

L’arte della ripetizione

Provate a riflettere su questo aspetto: trascorriamo la nostra vita a ripetere dei gesti: ci alziamo tutti i giorni dal letto, ci vestiamo, usciamo, normalmente non cambiamo strada andando al lavoro, ci accomodiamo nella stessa sedia che abbiamo occupato l’ultima volta per la riunione con i colleghi, quando torniamo a casa incontriamo sempre lo stesso vicino di casa e poi ci sediamo al nostro posto per cenare con i familiari.

Questa è la base della vita; ci sono quelli che ne fanno una regola (e guai a cambiarla) e altri che invece sentono l’irrefrenabile bisogno di evadere, di guardare oltre, di innovare.

Quello che ci accomuna e’ che abbiamo paura, perché uscire dalla nostra zona di comfort non è facile, anzi è un trauma; pensate che il trasloco e’ considerato il trauma più grave dopo un lutto.

E i politici? I presentatori? Cosa fanno? RI_PE_TO_NO, ripetono allo sfinimento un discorso, un concetto, un copione.

E lo fanno anche gli artisti: dalle ventidue sante (o i ventisei Santi) dei mosaici bizantini di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna che si somigliano tutte come bottiglie di Coca-Cola, ma poi hanno decorazioni tutte diverse, al viso di Marilyn Monroe sapientemente ripetuto da Andy Warhol.

Ora, per anni ho sentito dire che un manager dovesse innovare, trovare strade alternative, andare oltre.

Balle.

Un manager deve ripetere perchè l’essere umano ha un disperato bisogno di certezze, di punti fermi, pilastri su cui appoggiarsi. Provate a cambiare le abitudini di un bambino e ne uscirete matti: nasciamo con un disperato bisogno di reiterazione. E poi la memoria è corta e labile, soprattutto se si tratta di ritenere informazioni che non ci interessano personalmente.

Lo so: le persone intelligenti dopo un po’ di tempo si stufano perché hanno già capito le cose e vorrebbero andare avanti; invece no, bisogna tornare sui fondamentali e ripeterli fino alla nausea.

Nel mio ufficio a Milano

Due esempi eclatanti; quando divenni capo del marketing in una catena di manutenzione auto, proposi come prima promozione questa meccanica: “Più punti hai sulla patente più sconto hai”: nuova e virtuosa. Risultato? Un fallimento: la rete era abituata da anni a fare promozioni con un semplice sconto in euro: “Con il tagliando auto per te lo sconto di 20 euro”. Lo facevano da anni, era la loro certezza, non vi fu modo di cambiare.

Un grande successo fu invece questo; dovete sapere che nel corso della mia carriera mi resi conto, ogni volta che facevo le riunioni e redigevo dei “meeting report” (in pratica una paginetta in cui si riassume il contenuto della riunione, per chi come me “vien dalla campagna”) che alcuni si perdevano dei pezzi di un progetto perché erano stati stabiliti che so, due settimane prima. La mia soluzione? Aggiornare il meeting report ripetendo anche il contenuto delle riunioni precedenti,  ripetendo le priorità e ripetendo (ancora!) per tutti le best practice (le cose andate bene fino ad ora, dai).

Al manager è richiesto di andare oltre? No. Di ripetere. 

Ora io nella mia vita ho scritto ben poche frasi degne di nota, ma credo che questa possa farvi riflettere:

Ciò che per l’intelligente è cambiamento per gli altri è trauma, quello che per gli altri è novità per l’intelligente è vecchio.

La bellezza della vita e’ tutta nascosta nelle volte in cui rompiamo uno schema, una ripetizione, nelle volte in cui usciamo dalla comfort zone per regalarci un’emozione nuova. Il resto e’ management.

Delle assemblee di condominio

O di come risparmiare tempo e ottenere bellezza.

Prima di possedere la meravigliosa Skygarden427 vivevo a Piossasco, in una mansarda sopra i miei genitori dentro una piccola e deliziosa palazzina con otto appartamenti. Poche famiglie, che risiedono in quella casa da decenni e che sono ormai anestetizzate un po’ dall’età e un po’ da un generico senso di pace, dato che ormai da tempo hanno deposto l’ascia di guerra condominiale.

Il mio giardino per lo yoga 🧘

Quando mi spostai a Torino scoprii un mondo, un universo complesso ed articolato fatto di uomini e donne ancora appartenenti all’era del Pleistocene.

Devo dirvela tutta: Skygarden427 sarà pure figa perchè ha un terrazzo pensile, è al decimo piano fuori terra e nessuno ci vede, ma i nove piani sottostanti raccolgono un substrato di umanità che Freud ci avrebbe campato per altri cent’anni. Sia ben chiaro, non voglio dire che i miei vicini siano peggio dei vostri, forse ognuno di noi ha i vicini di casa (e di viaggio in treno) che si merita, ma vi sfido a venire ad una delle riunioni di condominio a Miraflowers. Già, avete letto bene, MIRAFLOWERS: nome che ho inglesizzato per dare un tono a Mirafiori, il quartiere che per anni ha ospitato i dipendenti statali della F(i)CA (oddio quanto sono scurrile) e che ha generato una serie di zamarri che ve li raccomando.

Veniamo al dunque: è il Novembre 2015, devo partecipare alla prima assemblea di condominio.

Vado peraltro con un unico obiettivo: farmi dare l’ok all’installazione di una pergola sul terrazzo. Il mio tema è all’ordine del giorno, ma al quinto punto. L’ assemblea inizia alle 20:30, e alle 22:00 stanno ancora litigando sul primo punto: il budget di spese per l’anno successivo, più alto di un (credo) tre percento rispetto al consuntivo; fanno molta fatica a capire che è addirittura “meno dell’inflatulenza” come fa notare un condomino laureatosi suppongo a Ros Angeles, provincia sud di Milano.

L’amministatore, a cui è chiaro il mio rapporto con il tempo, ad un certo punto mi guarda e domanda: ” e lei Bramezza cosa ha da dire a proposito?” 

Mia la scena, mia la parola: carpe diem.

Mi alzo lentamente, mi guardo attorno con un mesto sorriso sulle labbra (mi ero seduto in prima fila per avere una posizione adeguata a tenere un discorso), rimango in silenzio per una decina di secondi ed inizio la mia arringa: “Buonasera a tutti signore e signori. Vi ho ascoltati molto attentamente fino ad ora; con grande attenzione – sebbene abbia fatto un po’ fatica ad intercettare ogni parola perchè le vostre voci si sono confuse tra le urla di tutti” – Silenzio – Poi proseguo: ” ho fatto un calcolo veloce e se non sbaglio l’età media di lorsignori è circa 65 anni; ora, sapendo che l’aspettativa media di vita in Italia è 83 anni, avete quasi un piede nella fossa e se va bene tra 15 anni sarete trasferiti in un ospizio dai vostri amati figli, dunque che ne dite di impiegare meglio il vostro tempo? “

Secondo voi ho sbagliato l’interpretazione dell’ars oratoria? Beh forse non era proprio da manuale ma ottenni comunque l’effetto che desideravo. Catone può essere fiero di me 😎

Torniamo nella sala: Silenzio. Il nulla. Visi stupiti ed occhi dentro cui scorgo dei  criceti che si affannano a far girare le rotelline.

Ad un certo punto un signore -credo del quinto piano- grida: “Miiiiii! ha raggione!” Segue un pò di cicaleccio delle donne (che se la casa non fosse in Corso Unione Sovietica starebbero fuori dall’uscio a fare la maglia), e all’unanimità vengo nominato “Presidende” dell’assemblea. Capite? Insignito del titolo di Conte dell’Assemblea di Miraflower, ma sia chiaro non perchè avessi detto una cosa utile ma perchè io “parlo bene”.

Capite? La parola fa il Conte, o meglio l’abito fa la parola, o ancora la parola del conte, ma cosa sto scrivendo? In poche parole con il mio discorso ottenni ciò che volevo, cioè la pergola sul terrazzo.

Il nostro paradiso al decimo piano

La bellezza in tutto questo? Scherzi a parte, quella che dice la mia amica Anna: in una casa che era non proprio una residenza signorile in una zona non proprio bobò (come direbbero i francesi), io ci ho visto il bello ed ora abbiamo un giardino pensile che quelli di Babilonia ci fanno una pippa.

P.s.1: se volete sapere delle assemblee successive rimanete sintonizzati, ho altri studi antropologici da condividere.

P.s.2 se invece siete interessati a veder il mio terrazzo lo trovate a questo link (Il suo account Instagram )

P.s.3 la bellezza vera è che nei nove piani sottostanti ci sono anche persone meravigliose: Silvia la nostra vicina che è un vero amore, sempre disponibile a qualsiasi ora del giorno e della notte; e poi Stefania, un’altra donna dolcissima che ho incontrato per la prima volta insieme a suo figlio e mi ha colpito per lo sguardo colmo di amore col quale abbracciava la sua creatura. E questa sí, è un’immensa bellezza.

Ecco il mio stile.

Partiamo da un concetto molto semplice: per creare un proprio look o aspetto bisogna innanzi tutto avere buon gusto ed una giusta dose di eleganza. Il buon gusto secondo me è la capacità di non apparire mai sopra le righe lasciando però un segno nelle altre persone. L’eleganza invece è la somma di più aspetti come il portamento esteriore ed interiore, l’apertura agli altri e la preparazione culturale e morale. (Ancora sull’eleganza )

Look easy chic cittadino

Non ci si arriva in un giorno, è un percorso fatto di tanta determinazione, curiosità e desiderio di differenziarsi. Ricordo ancora quando a sedici anni andai per la prima volta a casa di Laura la mia compagna del liceo: mi accolse un cameriere con i guanti bianchi e fummo serviti a tavola da una seconda cameriera. Trascorsi l’intero pranzo ad osservare le eleganti movenze di sua mamma Lilli, il modo in cui stava seduta, teneva il calice dell’acqua, ammirai le decorazioni in rilievo dei piatti tono su tono ed addirittura la scelta del tovagliato rigorosamente di lino. Avevo sete di buon gusto e bellezza ed ero conscio che dovevo osservare chi poteva regalarmi amore per l’eleganza.

Ora ho cinquant’anni, non credo di essere un maestro di bon ton ma so per certo che riesco ad essere a mio agio sia ad una cena molto formale che in una serata più semplice, conservando aplomb, simpatia e generosità sociale.

Weekend al lago

Ho impiegato parecchio tempo a trovare la mia cifra estetica e vi sono arrivato anche grazie a tanti errori fatti non solo nell’acquisto di abiti ma anche di mobili. Ricordo che una volta comprai un terribile divano gonfiabile ed obbligai i miei genitori ad esporlo. Il divano era posto in cucina, in bellavista: uno scempio. Lola, una cara amica di famiglia che mi conosce molto bene, un po’ di anni fa mi disse: “caro Mauri, quel divano a due posti di plastica trasparente fu proprio una caduta di stile”. E come darle torto? 😊

Come il management è l’arte della ripetizione, l’educazione alla forma è l’arte dell’osservazione, una strada da seguire con tanta umiltà e determinazione.

Adoro il lino

Essere eleganti non significa acquistare abiti firmati, il brand o marchio non è sinonimo di raffinatezza: si può indossare uno smoking di Saint Laurent ma avere le calze corte nere che lasciano scorgere la gamba e relativa peluria, così come si può essere in completo fumo di Londra e parlare con un tono di voce del tutto insopportabile.

Per me non è importante ciò che pensano gli altri, ritengo di dover piacere a me stesso, mi affido al mio fiuto, stile e bisogno estetico del momento. Se esco mi vesto bene non per apparire (ecco secondo me lo sbaglio più comune) ma per me stesso, voglio essere sempre a mio agio con me. Se ci si veste per apparire non è sempre detto che lo si faccia con costanza, se lo si fa’ per una necessità personale allora accadrà sempre.

Weekend al mare

L’eleganza non è solo da vestire nel contesto sociale esterno, parte in casa. E’ una forma di rispetto verso se stessi e chi vive con noi.

Non ho mai acquistato un abito per coprirmi ma per ornare il mio fisico ed il mio viso. Gli accessori come borse, scarpe, profumi, cinture, occhiali, foulard e gioielli a mio avviso sono ancora più importanti di una maglia o una camicia.

I colori che prediligo sono tutte le tonalità di blu, nero, grigio e marrone. Non li voglio troppo esagerati e se li indosso cerco di smorzarli con altri.

Le camicie per me sono bianche, blu tinta unita o righe, queste ultime ovviamente fini. I maglioni possibilmente di cachemire, lino o cotone mentre le scarpe sneakers o classiche inglesi.

Non ho uno stilista che preferisco, scelgo il taglio del capo non il marchio; avendo la fortuna di vivere un fisico alto e slanciato (e lavorando tantissimo per mantenerlo) posso acquistare tanti capi senza il bisogno di portarli da una sarta.

Un outfit non è solo da comporre: bisogna saperlo indossare, il nostro incedere, gesticolare e comparire in pubblico sono l’impeccabile chiusura del cerchio.

La bellezza a mio avviso è domandarsi ogni giorno “mi piaccio?” e sapere che la strada dell’eleganza e del buon gusto sono prima di tutto un viaggio interiore.

E come sempre l’articolo letto da me 🙂

Si sta come d’autunno sulla montagna i liguri

Ovvero perchè i liguri sono sempre arrabbiati con il mondo e odiano noi turisti.

E’ dalla tenera età di quattro anni che frequento la Liguria e da buon piemontese che si rispetti mio nonno aveva affittato casa a Diano Marina, dunque la parte di ponente di questa magnifica regione. Ricordo le passeggiate con lui ma ancor di più l’espressione della sua seconda moglie quando le disse “in luna di miele andiamo a Diano Marina con Maurizio”. Ora, che mio nonno fosse un pochino despota lo capii verso i 33 anni ma realizzai solo successivamente nel dettaglio che quella povera donna di nonna Maria dovette sopportare i suoi modi diciamo militareschi (la divisa ce l’aveva ma era quella da tranviere) per parecchi anni. Poveretta 🙂 Che Dio li abbia in gloria.

Esperii dunque anni di frequentazione della costa in lungo ed i largo e di conseguenza oltre alle classiche frasi: “non ci sono più le mezze stagioni, o fa caldo caldo o fa freddo freddo” ed ancora “muoiono sempre i migliori” mi dovetti subire pure “i liguri sono tutti antipatici e non sanno sorridere ai clienti”.

Se poi ci aggiungiamo che ho anche avuto per un anno e mezzo un fidanzato di Pieve di Teco allora ho fatto bingo! Conoscete Pieve di Teco? Ecco se si va bene così, se no va bene così lo stesso a meno che non amiate la pizza rossa ed allora dovete andare alla panetteria Ferrari lungo la strada provinciale: orgasmica! Tutte le sante volte che andavamo a casa di sua madre mi domandavo se alla nascita fosse capitata nella fila sbagliata di distribuzione dei sorrisi – manco ‘na volta che gliene uscisse uno normale – capirete bene perché anche in questo caso mi dedicai allo studio antropologico del motivo per cui i liguri sono così diciamo ehm… poco carini con gli altri?

Finalmente un giorno mi diedi la risposta.

A Torrazza dal Patriarca

Se non lo avete mai fatto dovete promettermi di percorrere una volta la strada del Colle di Nava: Autostrada Torino – Savona, uscite a Ceva e poi seguite le indicazioni per Garessio e successivamente Ormea. Come sottofondo musicale vi consiglio un pò di gay compilation tipo Abba, Madonna o Heather Parisi (Cicale va benissimo si intona alla perfezione, soprattutto d’estate) quando arrivate al Colle di Nava fate una sosta per acquistare l’essenza di lavanda nel negozietto anni ’60 che c’è ancora: merita farlo per la proprietaria perché usa la cipria per la parrucca proprio come durante la rivoluzione francese.

Giunti a Pieve di Teco, provate a ragionare sul tempo che ci avete impiegato a fare da Torino al Colle – circa 1h:15 minuti: una strada dolce che passa tra pianura, collina e successivamente montagna- e comparatelo con quello che invece avete impiegato a scendere ovvero 30 minuti scarsi; successivamente voltatevi dando le spalle al mare ed osservate la montagna: ripida, scoscesa e praticamente a ridosso del mare.

C’è poca distanza tra il mare e la punta! Capite ora? Sti poveri liguri vivono in mezzo a mille paesini di quattro anime ciascheduno e soprattutto ( io me li sono sempre immaginati così) devono stare aggrappati ingrugniti alla montagna per non cadere a mare.

La scena è: tanti piccoli ligurietti che stanno con le mani piccoliiiiine (loro non sono tanto alti) attaccate ai monti con il terrore di scivolare per non bagnarsi il culettino ed annegare nel mare.

Ed ora ditemi: non sareste inc…. neri pure voi?

I liguri si dividono dunque in Liguri Montanari Inc….ti (LMI) e Liguri Montanari Caduti (LMC) non che i secondi sorridano più dei primi ed amino particolarmente noi turisti ma quantomeno sono scivolati, si sono arenati sulla battigia ed hanno provato ad aprire una qualche attività commerciale. Il tutto ovviamente con scarsi risultati.

Noi sulle rocce imperiesi

Ecco, ed anche oggi mi sono perso degli altri followers, ma sapete che vi dico? Fa lo stesso, non si può piacere a tutti 🙂 anzi, già che ci siamo vi dico che i miei studi antropologici sono parecchi dunque mi sa che alla fine rimarrò solo io con il mio Mac fino a quando anche la mela non deciderà di marcire.

P.s.1: gli uomini liguri sono inc….ti neri ma vi immaginate le donne? Come facevano ‘ste poverine a stare attaccate alla montagna senza rovinarsi la manicure?

P.s.2 che poi non è vero che sono tutti arrabbiati e non sorridono, esistono pure i tirchi.

P.s.3 adesso con ‘sta roba della bellezza ho un pò l’ansia da prestazione, cosa ci sarà di bello in tutto questo? Ah si! Certo potrei essere nominato il nuovo Darwin oppure l’erede di Claude Lévi-Strauss , solo che io anziché essere il padre dall’antropologia sociale posso al massimo cucire l’orlo ad un paio di jeans 🙂

P.s.4 Fino ad ora ho scherzato, torno serio. Io amo la Liguria e l’imperiese. Se volete trascorrere un weekend favoloso andate a dormire a Torrazza dal Patriarca (Eccoli qui 😊), Ivan e la sua compagna vi accoglieranno in un modo così unico che non vorrete più andare via. E per un’esperienza culinaria da urlo prenotate “Da U titti” (Questi sono loro) a Lingueglietta: fa-vo-lo-si! . Andateci e poi fatemi sapere. E questa è pura bellezza 🤗

Ecco l’articolo letto da me 🙂

Come prepariamo un viaggio.

Borse ed abiti rappresentano la nostra seconda voce di spesa, la prima sono i viaggi.

Non vi svelerò mai l’investimento che facciamo ma credetemi, e’ abbastanza per ritenermi un matto oppure un saggio: a voi la scelta.

Oggi mi piacerebbe raccontarvi come noi (Davide è matto o saggio come me) affrontiamo i nostri viaggi.

Innanzi tutto se leggete il mio articolo (Eccolo) sulle cinque forme di eleganza scoprirete che una di esse è proprio la base per affrontare la scoperta di un nuovo paese: l’eleganza intellettuale.

“L’eleganza intellettuale nasce dall’educazione (dunque prima di tutto dai nostri genitori), ma può e deve essere ampliata ed arricchita. Le letture ed i viaggi sono i migliori strumenti per far crescere questa forma d’arte. Ne sono l’espressione piu’ completa la curiosità ed il bisogno di raggiungere la nobiltà mentale.”

Eh si, un bel punto di partenza, ma andiamo per gradi:

  1. META. E’ fondamentale, anche per un weekend; va scelta prima di tutto in base al piacere, non solo da un punto di vista culturale o pratico. Una meta deve essere appagante per tutti i sensi, anche quello del gusto. Ovviamente non tutte potranno soddisfare le nostre aspettative, ma naturalmente un viaggio è anche mettersi alla prova. Ad esempio quando andammo in California, uno dei paesi che ho meno amato (sopporto poco gli Americani), soffrii molto ma fu sicuramente molto formativo!
  2. PREPARAZIONE. Stiliamo sempre un programma (in word, perche’ io odio excell) inserendo tutte le informazioni logistiche e non solo. Forse può creare un pò di ansia ma credetemi, quando vi trovate a Singapore ed avete solo tre giorni per vedere quella perla rara (negozi compresi che sono da urlo) allora vi servirà! Se viaggiate soli e’ ancora piu’ importante: il viaggio dello scorso anno in Sudafrica sarebbe stato un incubo senza il mio fedele programma stampato! Potete scaricare il programma di quel viaggio dal collegamento sotto, avrete così uno schema da cui partire.
  3. STUDIO. In genere acquistiamo una guida Lonely Planet, anche se recentemente ci ha deluso un po’: le Cameron Highlands Malesi (piantagioni di the e coltivazioni di fragole) hanno di bello solo il Cameron Highland Resort, uno degli hotel più straordinari (per servizio ed accoglienza) dove sia mai stato; per il resto nulla di che, mentre la guida invece sembra promuovere questa meta in modo esagerato.
  4. VALIGIA. Ho smesso di imbarcare la valigia da anni, non ha nessun senso portarsi dietro l’armadio, esistono le lavanderie ed hotel che offrono questo servizio. Tra le mie note ho una lista specifica per preparare una valigia per il mare, una per la montagna, per una settimana di trasferta di lavoro o ancora per un weekend al lago. La lista comprende anche il contenuto del beauty e gli accessori necessari. Secondo me persino la scelta della valigia è fondamentale, come anche quella  delle custodie per l’organizzazione interna: porta abiti, porta scarpe, porta vestiti usati, porta prese e caricabatterie eccetera… io odio avere oggetti che navigano nella borsa. Al termine di un viaggio anche di soli due giorni, ripuliamo le nostre valigie con una crema ad hoc (Neutro Pelle di Nuncas) e prima di riporle nell’armadio ci mettiamo dentro una striscia profumata di Carta di Eritrea.
Toscana agosto 2020

Molti ci dicono: “ma siete sempre via!”; in parte è vero,  appena possiamo scappiamo; ho notato che la più parte, pur potendoselo permettere, non lo fa’. Perché? Beh forse perché non si sa organizzare! La gran parte dei nostri viaggi dura un solo weekend, come? Pianificando alla perfezione gli spostamenti in auto o aereo, i trasferimenti e… mettendoci  tanta tanta voglia di “sbattersi”.

La bellezza di tutto questo? Per un viaggiatore il solo pensiero di organizzare una nuova esperienza è elettrizzante, noi trascorriamo serate a sognare di partire ed alcune volte ci è capitato di acquistare un volo sull’onda dell’emozione. Sarebbe tanta bellezza anche scoprire il vostro punto di vista o le domande che vorrete farci nei commenti!

Ecco l’articolo letto da me 🙂

Il mito della caverna

ovvero perché le donne riescono a fare più cose insieme.

Allora si, miei adorati amici maschietti, credo che quanto sopra sia diventato un dogma ed anche se noi non lo ammetteremo mai di fronte alle nostre amiche, compagne o mamme (per quel dannato orgoglio “testosteronico” che ci distingue) loro sono più brave di noi quando si tratta di fare due o tre cose contemporaneamente.

La prima volta ne ebbi coscienza – e successivamente iniziai a studiare il caso – quando iniziai il liceo linguistico; ricordo perfettamente il monito di mio padre: “Maurizio, attenzione che in una classe di sole femmine farai molta più fatica”, certo, avrebbe anche potuto dirmi che avrei rischiato di diventare gay ma per quello mi è bastato ascoltare Mina cantata da mia mamma tutti i giorni 🙂 (ah quanto la adoro!).

Successivamente ne ebbi conferma ai tempi dell’agenzia: il mio gruppo di lavoro era formato per la più parte da donne (quindici). Ecco, ogni volta che facevo un brain storming ovvero tempesta di cervelli (praticamente è un modo figo per buttare idee sul tavolo, sperare che ne esca qualcosa e poi andare a venderle al cliente), ecco dicevo, ogni volta io rimanevo indietro nei ragionamenti perdendomi tra le loro sinapsi mentali ed arrancavo pronunciando “Spè, spè ripeti un pò?” e loro con sguardo compassionevole ripetevano ciò che per loro era già ovvio da almeno dieci minuti.

E qui il Maschio Etero Basic (MEB) potrebbe obiettare “Eh certo, sei tu che non sei intelligente e non capivi”, ok ci può stare ma vi prego continuate a leggere…

Veniamo alla mia teoria: ci troviamo al tempo della pietra (o cavernicoli) ma dobbiamo separare bene il ruolo del maschio alfa dalla donna “betagammadeltaechipiùnehanemetta”. L’ uomo aveva un compito: cacciare. Usciva al mattino presto, percorreva praterie e distese (stancandosi anche ) per trovare un animale da mangiare e poi tornava a casa stremato.

E la donna? Beh, la donna doveva alzarsi, preoccuparsi di mantenere il fuoco acceso, badare ai bambini, preparare la sbobba, rassettare il giaciglio, difendere la caverna e possibilmente trovarsi un altro uomo per fare all’ammmore perché il primo era uscito presto e non sarebbe tornato a casa prima del tramonto, tra l’altro lamentandosi pure della sua stanchezza (cosa che ogni MEB fa ogni sera al rientro dal lavoro).

Capite ora? E’ nel DNA!!! Risale tutto alla notte dei tempi! Il genere femminile è abituato a ricoprire più ruoli: donna, madre, amica, ed amante (pure un pò provocante altrimenti l’amante mica se lo tiene).

Un saluto a voi 🤗

E vi domanderete dove sta la bellezza in tutto questo? Innanzi tutto che forse vi ho fatti ridere, oppure pensare ad un aspetto su cui non avevate mai ragionato e che forse io con sta meravigliosa chicca potrei essere invitato da Alberto Angela ed ottenere il successo che merito.

P.s.1 Con questo post magari mi sono giocato una parte di follower maschili ma sapete che c’è? Non è un problema: l’uomo è infedele per sua natura nel senso che pensa di saperla più lunga degli altri, la donna invece (nonostante si cercasse un amante già ai tempi) è molto più fedele perché si informa, legge, ragiona e poi fa una scelta oculata che normalmente porta avanti per anni.

P.s:2 per tutti i MEB che invece continueranno a seguirmi e magari sono single: fate bene, avere un amico gay è un passpartout per trovare nuove donne pescandole tra le sue followers.

P.s:3 Chiedo venia a Platone per essermi permesso di fare un cauto riferimento al suo mito sull’allegoria della conoscenza. E che ora mi fulminasse pure.

Ecco il brano letto da me 🙂

Sintesi, grazie.

Una delle regole che mi sono dato quando ho aperto il blog è stata di scrivere articoli brevi, possibilmente utili, piacevoli e soprattutto senza tanti giri di parole. Io sono semplice, diretto e so cosa voglio dunque per me è più facile evitare ruoli da azzeccagarbugli o torri semantiche fumose e prive di senso.

Abbiamo bisogno di leggerezza ma al contempo non siamo più in grado di dedicare attenzione alle cose che facciamo: la tecnologia va più veloce di noi e siamo sempre in affanno per stare al passo. E’ inevitabile. E poi ci arrabbiamo se dobbiamo attendere in coda oppure se siamo al bancomat ed il denaro non esce in pochi secondi.

Prima tutto scorreva, oggi tutto corre. Solo la natura non ha mai cambiato il suo ritmo, essa scrive la sua strada: con la cadenza costante di un metronomo, la generosità di un amante e la resilienza di un guerriero. Osservate la grazia di questo fiore, è straordinariamente bello, sembra creato in provetta invece non è chimico, è solo naturalmente perfetto: non ha un petalo di troppo e forma una sfera esemplare. Meraviglioso.

Dunque in questo mare di informazioni, immagini, suoni e divergenze stilistiche è fondamentale andare al sodo, arrivare al cuore in poco tempo e trovare il modo di sintetizzare un pensiero perché vitale ritenere le informazioni salienti per attuare le nostre scelte.

Ho sempre avuto, credo un pò nel dna e grazie al metodo che adottavo per studiare, una certa capacità di sintesi e di centrare agilmente il cuore di un argomento.

La mia formula per lo studio? S.R.S.R., noooo non è una nuova nazione o il titolo di una canzone di Eddy Huntington ma il mio metodo, ovvero: sottolinea a matita (prima lettura), ri-sottolinea con blu o rosso (seconda lettura), schematizza (solo ciò che hai sottolineato nella seconda fase) e ripeti (utilizzando solo gli schemi). Anche in questo caso non ho inventato nulla di nuovo ma credo che questa buona norma ripetuta con costanza mi abbia aiutato ad arrivare sempre al “dunque delle cose”.

Quante volte ci siamo persi dietro a colleghi che parlano, parlano e non vanno mai al sodo oppure amici che per paura di dire una cosa scomoda si nascondono dietro a fiumi in piena di parole? Il tempo è il nostro bene più prezioso, pensiamoci perché dobbiamo amarlo, rispettarlo e non abusarne. Osservate il colore di queste rose, la delicatezza dei loro petali e la perfezione della forma, quando me le hanno regalate le osservavo ogni giorno con grande attenzione ed amore.

La bellezza sta secondo me nell’esprimere un pensiero cristallino, possibilmente con logica, in lingua italiana, ed onesto intellettualmente. Domandiamoci se vi riusciamo sempre ed alleniamoci a farlo proprio come la natura forgia i propri gioielli.

Ecco l’articolo letto da me.

La Houselini

o altrimenti detta Casalini è …. praticamente la sorella che non ho mai avuto.

Ecco appunto, ho avuto la fortuna di essere figlio unico e poi a circa 25 anni mi ritrovo lei, che di umano ha ben poco.

Con la Casalini ho fatto di tutto, tranne che all’ammore, uno perché al massimo potrei farci la manicure (infatti a New York era uno dei nostri passatempi preferiti) e due perchè siamo talmente bestie che l’amore presuppone un sentimento che noi due messi insieme non siamo in grado di ricreare.

Lei ha fatto il liceo linguistico ma a Formentera è riuscita ad ascoltare per circa mezz’ora due tedeschi (è più curiosa di una scimmia) fingere di comprendere ed alla fine dirmi: “uhm parlano un americano così stretto che faccio fatica a capirli”.

Abbiamo fatto almeno una ventina di viaggi insieme e dormendo nello stesso letto mi sono dovuto sopportare lei e tutti i suoi fazzoletti di carta che al mattino ritrovavo ovunque ( si è fatta rifare il naso – con i soldi del master – dunque non le funziona più bene ).

E poi c’è ancora la volta quando in partenza per Roma un signore osservando la mia meravigliosa giacca grigia con revers in raso viola le chiese: “E’ il suo fidanzato?” Risposta: “Secondo lei?” Replica del tipo: “Ce ne sono tanti in giro?” E la Casalini con un aplomb impeccabile “Siamo circondati”, oppure quando a Petra decidemmo di prendere due cavalli per scalare la montagna verso il tempio, peccato che a lei diedero un ciuco talmente sfigato che non andava avanti e ad ogni gradino vedevo il suo sguardo pregno di angoscia: meraviglioso!

La Casalini dove la metti sta, se le dai da mangiare non si lamenta, se la porti in giro sta brava e poi ti telefona sempre, ogni mattina ti ripete rigorosamente le stesse cose (per la verità anche io) senza cambiare mezza parola o mezzo intercalare.

Come afferma giustamente Fra (la nostra amica di Ebbboli che la Casalini ha immediatamente incluso dopo circa due minuti che aveva messo piede in territorio sabaudo) la manderesti a quel paese un giorno si e l’altro pure, poi quando arrivi al limite lei riesce a trovare quel suggerimento o frase intelligente o azione che ti sconvolge e si salva fino alla settimana successiva.

Noi ci ripetiamo sempre le stesse cose, talune volte ci siamo sopportati a fatica ma guai a chi me la tocca (ci hanno già provato) che divento una iena perché lei è la mia sorella del cuore cui voglio un bene unico.

E questa è tanta bellezza.

p.s. 1: Tranquilli è già fidanzata altrimenti col cavolo che scrivevo un articolo simile.

p.s.2: La scorsa settimana mi ha chiesto: “ma scusa scrivi articoli su tutti e non su di me?” La mia risposta: “Casalini, rileggi il nome del mio blog e datti una risposta”

p.s.3: Pensate che dopo questo mi mandi a quel paese? Allora non la conoscete bene, anzi mi toccherà lasciarle il mio orologio in eredità (si, lei spera che io schiatti prima di lei per ottenerlo, figuratevi che mi ha praticamente obbligato a fare il testamento per non rischiare di perdere il Rolex).

Ecco l’articolo letto da me 🙂
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